Feb

17

E’ l’ora dei ricercatori?

Periodicamente, con un tono tra il demagogico e il finis Austriae, si parla in Italia del tema dei ricercatori universitari e della ricerca in genere. I ricercatori, quelli assunti nell’Università, sono circa 25.000, percepiscono uno stipendio che parte dai 1200 euro/mese e arriva, dopo dieci anni di anzianità, a circa 2200 euro netti al mese. Si tratta di una figura introdotta con la riforma del 1980 (dpr 382/80) che prevedeva, per loro, solo compiti di didattica integrativa (seminari) e assistenza agli studenti (tesi, esami ecc.) ma non la cosiddetta didattica principale, i corsi propriamente detti. Quella è riservata ai professori. Poi ci sono altre figure, ricercatori precari nati dopo la riforma del 1980, che sono in attesa di un concorso: assegnisti di ricerca, dottorandi e dottori di ricerca, cultori della materia. Una moltitudine di persone che hanno di fronte a loro, spesso, solo la via dell’emigrazione in qualche realtà universitaria all’estero dato che i canali di accesso in Italia sono ingolfati e macchinosi. Leggi il seguito »

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Feb

2

Israele nell’Unione europea? Facciamo il punto

Piero Graglia e Ivan Scalfarotto, 25 aprileritagliataPeriodicamente il tema dell’ingresso di Israele nell’Unione europea rispunta come un fiume carsico animando il dibattito politico e diventando tema di discussione più o meno svogliata. Bene se questo significa anche riflettere sulla natura e sui caratteri della stessa Unione europea, male se si tratta soltanto dell’utilizzo strumentale di un tema che ha un certo appeal storico-politico, senza andare al fondo dei problemi che esso solleva.

Prima di tutto va ricordato che il tema di per sé non è nuovo: esso è stato portato avanti in maniera provocatoria dal partito radicale transnazionale all’inizio degli anni Ottanta con una chiara valenza politica: l’ingresso di Eretz Israel nell’UE avrebbe occidentalizzato definitivamente Israele e coinvolto l’Europa nella necessaria soluzione del problema palistenese. Una formula semplicistica e sommaria che non tiene conto della natura stessa non solo dello stato di Israele, ma anche dell’Unione europea.

L’Unione, da Maastricht in poi, non può più essere definita semplicemente una forma di cooperazione economica e di integrazione settoriale dei mercati: essa è diventata una fonte del diritto interno con il ruolo centrale assegnato alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, le cui pronunce sono vincolanti per gli stati membri e in grado di influenzare il diritto interno nazionale. Inoltre non si dimentichi il fatto che l’Unione definisce anche diritti civili e politici e l’eventuale ingresso nell’UE di Israele, stato il cui parlamento si configura come una assemblea costituente permanente ma è privo di una costituzione scritta, comporterebbe l’accettazione da parte di Israele delle libertà (di circolazione di merci, persone, capitali e servizi) già oggi garantite a tutti gli stati dell’Unione. Dubito che tale prospettiva sarebbe allettante per Israele.

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