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Per la ricerca

bosco1Tra pochi giorni si vota per le elezioni studentesche. Un momento che, da ricercatore, attendo sempre con ansia perché partecipo dei timori e delle preoccupazioni dei miei studenti circa il futuro dell’università. Da quando l’Onda ha fatto sentire la sua voce, dal giugno 2008 in poi, alcune cose sono cambiate. Voi, studenti, lo sapete. Sapete quanto si è parlato di voi, di noi. Sapete quanto abbiamo fatto paura ai soloni della Ricerca con la R maiuscola, quelli che la usano come una clava buona per ogni occasione.
Siamo andati in piazza, abbiamo espresso idee e fatto proposte, ma i tagli a istruzione e università sono rimasti. Qualche soldo per l’edilizia scolastica, qualche borsa di studio, e intanto la mannaia che vuole colpire e smembrare il sistema dell’istruzione universitaria pubblica è restata affilata; la prospettiva delle università fondazione non è stata accantonata; il sistema di governo degli Atenei resta in mano ai soli professori ordinari, con l’emarginazione dei ricercatori e degli associati, che invecchiano senza possibilità di carriera.
Un solo esempio: qualche settimana fa ho presentato nel mio Consiglio di facoltà, una proposta per abolire il costume medievale di far uscire dalla sala del Consiglio ricercatori e associati quando si parla di chiamate di professori di prima fascia: l’hanno definito un emendamento “irricevibile”, mentre si tratta di una elementare misura di trasparenza amministrativa già esistente, ovunque l’espressione “comunità di ricerca” abbia un senso.
Per questa e per tante altre manifestazioni di arroganza, vi invito a stare vigili e attenti. Diffidate di chi, da posizioni di potere, vi dice che sa come promuovere la ricerca ma non vi dice una parola sul problema della trasformazione delle università in fondazioni private e sul necessario ampliamento degli spazi di partecipazione nel governo degli Atenei; diffidate di chi si definisce scienziato solo per fare affari migliori e speculare sul presente di chi si attende un futuro.
Non ho alcuna fiducia sulla classe politica di un Paese che, nel preparare un disegno di riforma – l’ennesimo – della docenza universitaria (progetto di legge del sen. Valditara) prevede che per finanziare tale riforma sarà necessario aumentare di dieci centesimi il prezzo di sigarette e superalcolici: più cancro e più cirrosi per finanziare un sistema di istruzione che deve, tra le altre cose, svolgere le ricerche per curare anche cancro e cirrosi. Che considerazione dobbiamo avere per un sistema siffatto? Io penso nessuna.
Anche il continuo ricorso alla parola Europa come una sorta di parolina magica che risolve tutto deve essere evitato. Il settimo programma quadro dell’Unione europea sulla ricerca rappresenta un investimento di 50 miliardi e mezzo di € nel periodo 2007-2013, per tutti i 27 Paesi dell’UE; il ministro Gelmini, nella sola Italia, per il periodo 2008-2013 taglia 14 miliardi di € di risorse alla scuola e all’università italiane. In queste condizioni, l’Europa può solo lenire i danni fatti, ma non risolvere molto. E voi sapete quanto il sogno europeo sia presente nei miei studi e nella mia esperienza di uomo e di docente, quanto io creda a un continente in cui il ruolo degli stati nazionali sovrani sia ridimensionato a favore di un’unione federale. Tuttavia non dimentico che bisogna evitare di cullarsi col ritornello “ci pensa l’Europa” o con altri slogan, perché nessuno fa beneficienza a un Paese che dimentica il dovere di mantenere pubblico il sistema dell’istruzione e della ricerca.
Non voglio fare catastrofismo inutile, né voglio sembrare rassegnato; ma quando votate per le vostre rappresentanze pensate a ciò che state facendo, perché nessuno può dire domani “io non c’ero”, “io non sapevo”. Chi non c’è non ci sarà, ragazzi. Stiamo in campana.


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