Mag

7

Lukashenko – o dell’ignavia europea

l_f54215b9655543d49c70554b431f069eIl presidente bielorusso Aleksander Lukashenko sente il bisogno di rassicurare il potente vicino russo e in un messaggio affidato al ministro degli Esteri Sergey Lavrov dice che il progetto di partenariato messo in campo dall’Unione europea a favore di Bielorussia, Ucraina, Moldova, Georgia, Armenia e Azerbaigian, non deve diventare un’arma rivolta contro “qualcuno”. Un qualcuno che non può essere altri che la Russia.
L’aspirazione all’aumento delle relazioni tra l’Unione europea e i paesi che occupano la fascia a confine tra Russia europea e Unione europea non può che essere salutata con favore. Ma forse l’Unione europea deve cominciare a mangiare un poco di midollo di leone e mettere al primo posto non solo gli interessi economici per l’aumento delle relazioni commerciali, ma anche il tema dei diritti civili e soprattutto degli interlocutori che si scelgono. Lukashenko è un dittatore, il presidente di una delle ultime dittature europee. Anzi, dell’unica.

Ha fatto il suo bravo viaggio in Europa, ha visitato il papa, ha visto il presidente del Consiglio Berlusconi (uno che di democrazia e dei suoi metodi se ne intende) e adesso presenta il conto: lui è democratico sincero, al di lĂ  delle apparenze, e l’Europa deve dargli credito.
Le espressioni diritti umani e libertĂ  civili in Bielorussia non valgono nulla; non basta la liberazione di alcuni prigionieri politici e la riapertura di qualche giornale per dare una patente di credibilitĂ  democratica a un Paese controllato dal dittatore e dai suoi uomini. La democrazia non vive solo di atti formali e apparenti, ma anche – soprattutto – di metodo e di sensibilitĂ . Lo sappiamo bene noi in Italia, Paese dove ad esempio è pressochĂ© scomparso il giornalismo politico e di commento e l’inchiesta, a favore di pietose processioni di lacchĂ© silenziosi e rispettosi. Ma negli altri Paesi dell’Unione il confine esistente tra apparenza e realtĂ , quando si parla di democrazia, è ben visibile.
Ci si chiede quindi qual è la densitĂ  morale dell’Unione europea (e della Commissione di Barroso) nel momento in cui accetta con tranquillitĂ  di trattare con regimi di questo tipo; nel momento in cui accetta addirittura delle implicite condizioni: commerciamo con voi, perchĂ© la vostra ricchezza e il vostro mercato unico ci attira, ma le condizioni in fin dei conti le decidiamo noi.
L’Unione europea insomma viene declassata, anzi, si declassa da sola, a una sorta di supermarket della democrazia consumistica, senza altri attributi, che può ben accettare le condizioni imposte da un figuro quale Lukashenko senza battere ciglio.
Si dirĂ : «l’Unione, anche quando era ComunitĂ  economica europea, ha sempre chiuso un occhio sulla qualitĂ  democratica degli stati con i quali intratteneva relazioni commerciali. Always business as usual». E invece no. La vecchia CEE trovò il modo e la forza di interrompere ogni relazione di partenariato e ogni processo di adesione con la Grecia dominata dalla ditattura dei colonnelli, conscia che l’esistenza di tale regime interrompeva, ipso facto, il processo stesso di adesione. Tale netta posizione della CEE mise in grave imbarazzo il regime militare di Atene, e soprattutto allontanò gli industriali dai militari.
Oggi la questione si ripresenta praticamente immutata. Esiste una politica degna e meritoria dell’Unione per attivare e sostenere partenariati – in vista dell’adesione – con i Paesi dell’est Europa ancora fuori dall’Unione, ma tale partenariato non risente se non in piccola parte del problema della tutela dei diritti umani e civili in tali Paesi.
Esiste oggi una questione democratica nella Bielorussia: lo vogliamo riconoscere o preferiamo fare finta di nulla? Un tempo si poteva dire che il benessere di per sĂ© indeboliva i regimi autoritari diminuendo il radicalismo politico, sia di destra sia di sinistra. Oggi va detto che il benessere economico, le relazioni commerciali non provocano nessun soprassalto di orgoglio democratico e, nei confronti delle dittature, sono sostanzialmente neutri, se non positivi. Lukashenko non teme il giudizio morale dell’Unione e addirittura si presenta come piccolo megafono degli interessi russi; l’UE sta a guardare in silenzio e non accenna alcuna reazione (a meno che una reazione si manifesti tra oggi e domani).
Non è così che l’UE può proporre i valori democratici, come dichiarò di fare ai tempi del grande allargamento ai dieci Paesi dell’est e del Mediterraneo nel maggio 2004. Così perpetua solo i crimini di una dittatura abdicando al suo ruolo di presidio di libertĂ  e diritto in Europa.
Dica chiaramente che Lukashenko e il suo regime, così come è costituito oggi, non hanno la minima possibilitĂ  di fare affari con l’UE nĂ© tanto meno possono aspirare a un partenariato per la futura adesione. Assuma una posizione politica che sia di monito anche al grande fratello russo, che dopo le umiliazioni patite durante l’era Gorbachev oggi guarda all’Unione come a un facilmente ricattabile club di ricchi. Faccia politica estera sulla base dei principi che le sono propri; faccia relazioni esterne con rigore e mostri un volto chiaro.
Non si chiede di più alla Commissione in procinto di scadenza, ma è proprio il minimo.


Comments are closed.